La Sala Bausch dell’Elfo è sempre un valore aggiunto per certi progetti, soprattutto per l’intimità che si crea. Dalla porticina aperta (solitamente coperta dalla scena), ricavata nella parete frontale, fa capolino un uomo. Si appoggia sull’uscio, fa un sospiro (a cui daremo alla fine il valore di respiro) e lentamente entra sul palco col piede destro, quasi a sottolineare il rito che di lì a poco staremo per vivere insieme.
“Mi dispiace, adesso qui non c’è niente, ci sono solo io”, ci tiene a “scusarsi” quasi subito. Invece la sfida, il gioco e lo svelamento (vengono messi in campo e detti tutti i “trucchi” del mestiere) sta proprio in questo. Va reso grande merito a Vergani di saper suonare una drammaturgia non facile, in cui il pubblico viene trascinato e a cui viene richiesto di starci anche nei momenti più stranianti. Regia e direzione creativa assecondano l’essenzialità (letteralmente, ad esempio, non ci sono puntamenti di luci particolari) richiesta dalla scrittura, concentrandosi sulla direzione attoriale, tutto in virtù dell’amore per il Teatro e verrebbe da dire anche dello spettatore. Una parola emerge: la passione e non solo quella di Gesù Cristo che viene raccontata dall’attore, ma quella con cui si declina quest’arte dal vivo e che si vorrebbe (senza pretese, ma con un desiderio vero) risvegliare in noi che osserviamo e partecipiamo.
“Coi suoi miseri mezzi, la sua poca fede, darà voce ad un vangelo traballante e pieno di dubbi. Uno sguardo stralunato e tenero sulla crudeltà dell’uomo, sulla banalità del male esemplificata, con parole semplici e senza retorica, dall’esperimento di Milgram. Un vangelo anonimo che narra di un Gesù spericolato, che cammina in bilico, tra salvezza e spavento, come ogni essere umano” e proprio per questo lo avvicina a noi (significativa, in quest’ottica, la scena del dialogo con la Madonna). Toccante il momento in cui narra dell’ordine illogico di Erode della strage dei bambini e ce li fa vedere. Il nostro protagonista non ha volutamente un nome, eppure sottolinea come un personaggio debba averlo o quantomeno un ruolo (vedi il centurione 1 o 2) e questo perché è un uomo-un attore pronto a mettersi a servizio e a nudo in questo salto nel buio. È come il Gesù di cui parla che deve convincere il primo apostolo, il passante che si ferma a guardare la strage degli innocenti perché l’artista deve porre gli accenti laddove noi non vediamo, facendoci compiere un ideale parkourt fino a portarci a “respirare”.