“Nell’epoca dell’informazione istantanea e delle fake news abbiamo l’impressione di conoscere tutto, di sapere tutto con un click sui nostri smartphone. Le nostre coscienze di brave persone sono pacificate dai nostri piccoli grandi gesti di adesione o disapprovazione dei fatti. Abbiamo l’impressione di avere un’idea su tutto. Abbiamo persino l’impressione di esprimere un’idea su tutto. Ma nella realtà tutto accade al di sopra e al di fuori di noi, in un mondo che esiste altrove. Non sul web. Nelle piazze, nelle strade, nelle case, nelle prigioni dove la gente muore davvero. Il mondo ci sfugge, perché lo cerchiamo nel posto sbagliato” (si legge nella scheda). E ancora una volta il teatro ci viene in soccorso. Una precisazione: non fatevi ingannare dal titolo.
Abbiamo avuto la possibilità di assistere a questo monologo in Sala Shakespeare durante la rassegna Nuove Storie (direzione artistica di Francesco Frongia) e questo ha permesso di ribaltare le prospettive, utilizzando la scatola magica per metterci anche fisicamente in scena. Ha il suo effetto essere sul palcoscenico (lungo i tre lati), frontali alla platea che a suo modo è protagonista perché una voce si leva – in apertura e chiusura – (stando lontana da facili moralismi) e cattura la nostra attenzione. “Non tutti sanno amarsi davvero […] è quando vuoi bene a qualcuno che, se muore, ti dispiace per davvero”.
Un rumore di passi e da dietro le quinte arriva l’attore, interpreta un conduttore di Radio libera, è un “ladro di storie” e ce le restituisce. Lo ascoltiamo mentre ci racconta i suoi dialoghi con il gestore che gli prepara il kebab anche in tarda serata (sei certo che sarà aperto). Al centro del palco c’è una piramide realizzata con delle corde, i cui limiti vengono varcati solo in un preciso momento. A un tratto, dopo che si è riso, arrivano i contraccolpi (merito anche dei silenzi, dei gesti e degli accenti pe(n)sati). Il registro cambia e ci chiama ancor più in causa, guardandoci negli occhi per farci guardare dentro e al di là dei nostri confini. Si tocca la materia incandescente e attuale dei diritti umani, completamente calpestati dall’ascesa al potere di Al Sisi. E rispetto al caso e al volto mostratoci davanti, dopo avercelo avvicinato grazie a un “semplice racconto”, il pensiero non può non andare anche a Giulio Regeni.
“Io non ho alle mie spalle nessuna autorevolezza: se non quella che mi proviene paradossalmente dal non averla o dal non averla voluta: dall’essermi messo in condizione di non avere niente da perdere, e quindi di non essere fedele a nessun patto che non sia quello con il lettore” scriveva Pier Paolo Pasolini in ‘Scritti Corsari‘. Traslando alla nostra situazione, verrebbe solo da mutare la parte finale… “e quindi di non essere fedele a nessun patto che non sia quello con lo spettatore”.
“Il respirare… e poi anch’io me ne esco nel buio, di qua, senza fare rumore”
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Ci permettiamo una piccola parentesi in merito al fatto che l’Elfo Puccini abbia deciso di farsi casa per la trilogia e per i singoli spettacoli. Immaginiamo che questo non sia dovuto solo all’attenzione verso la drammaturgia contemporanea, ma anche alla capacità di fare rete e alla volontà di coltivare talenti (Vergani è stato spesso scritturato all’interno delle produzioni realizzate dai due direttori artistici). Così come è apprezzabile la volontà di Marchioni e della Mancini di impegnarsi nel coltivare questo teatro essenziale parallelamente alle grosse produzioni e agli altri linguaggi, prodigandosi anche in prima persona sul piano produttivo (hanno fondato la Anton Produzioni). Questa trilogia respira dell’unione artistica e umana di ciascuno di loro e – ci permettiamo di azzardare un pensiero – non avrebbe il medesimo valore e la stessa onestà di intenti se fosse portata in scena da altri.