A Berlino, l’Italian Film Festival e l’Istituto Italiano di Cultura promuovono una mostra fotografica e due incontri con Vinicio Marchioni e Valentina Lodovini per celebrare l'intellettuale italiano nel centenario della nascita.
Pasolini con altri occhi, con altre voci. Come quella di Vinicio Marchioni. Nel centenario della nascita dell’intellettuale e artista bolognese, anche Berlino ne continua l’opera di approfondimento, ospitando, tra gli altri, il noto attore italiano e l’interprete Valentina Lodovini. Cuore del programma è però la mostra fotografica PPP100. Pasolini e… poesia, cinema, televisione, stampa, visitabile dal 4 al 25 luglio 2022 presso l’Istituto Italiano di Cultura. Prodotto da Associazione Cineclub del genio, Tuscia Film Fest e Italian Film Festival Berlin, il cartellone include, appunto, il duplice incontro con la Lodovini (4 luglio) e con Marchioni (5 luglio), moderati da Enrico Magrelli. Un incontro, prima di tutto, col pensiero e la sensibilità di Pasolini, attraverso testi, filmati, letture, in dialogo con i due protagonisti del cinema italiano.
Abbiamo colto l’occasione per intervistare Vinicio Marchioni, a sua volta esploratore di linguaggi. Nel suo Pasolini, l’ennesima e sempre preziosa chiave di lettura del personaggio.
L’INTERVISTA A VINICIO MARCHIONI
100 PASOLINI
Da dove comincia l’album delle memorie pasoliniane per te? E da dove lo farai cominciare nell’evento che ti vede protagonista a Berlino?
Con Enrico Magrelli, l’organizzazione dell’Italian Film Festival di Berlino e del Tuscia Film Fest, nonché dell’Associazione Cineclub del genio, sono stati selezionati materiali che mi sento di definire molto particolari. Si parte da un’intervista che Pasolini rilasciò alla Rai nel 1974. Si passa poi a quello che Bernardo Bertolucci ha raccontato di Pasolini: del loro primo incontro, di come lo vedesse in quanto regista. Ci sono inoltre alcuni interventi ripresi dalle conversazioni che ha avuto con Jon Halliday, per poi passare a uno scritto tratto da Poesia in forma di rosa. Questi, naturalmente, sono solo stralci dell’infinita letteratura che ha prodotto Pasolini, ma cercheremo di utilizzare questi passaggi come spunto per fare una chiacchierata più ampia.
RABBIA GIOVANE
Nell’ambito di un noto festival cinematografico di Salerno, oltre un decennio fa, ebbi la ventura di presentare ripetutamente a una platea di studenti un film, immagino, importante per te: 20 sigarette di Aureliano Amadei, Premio Francesco Pasinetti a Venezia 2010. Le vie a Pasolini sono infinite, ma qual è la via per raccontarlo a una platea di studenti, che so avere caratteri propri? Qual è la chiave per un dialogo coi giovani su Pasolini?
Penso che il grande gancio che Pasolini ha con l’adolescenza e la giovinezza sia un’inquietudine e una solitudine di fondo. Un essere arrabbiato, un essere contro: sempre, da qualsiasi punto di vista lo prendi. Credo siano aspetti molto tipici di questa fase dell’esistenza. Posso dirtelo per esperienza personale. Avevo 16 o 17 anni. Non conoscevo ancora la poetica, la filmografia e tutto l’universo intellettuale di Pasolini, ma queste caratteristiche di fondo della sua figura esercitarono su di me un grande fascino. Ancora oggi, persino prima di conoscerne la potenza letteraria e cinematografica, ritengo siano elementi validissimi per incontrare e agganciare con immediatezza i più giovani.
BRAMA DI VIVERE
Il rapporto che mi descrivi con Pasolini è una sorta di comunione di sensibilità, ma vorrei transitare subito al versante più strettamente artistico. L’evento di Berlino s’intitola PPP100. Pasolini e… poesia, cinema, televisione, stampa. Trovo una poliedricità del genere anche nel tuo percorso. Quale delle facce di questo poliedro ti ha segnato di più? Quale delle anime pasoliniane – letteraria, cinematografica, teatrale, televisiva, intellettuale?
Credo il Pasolini letterario. È il Pasolini solo contro tutti, quello delle interviste televisive in cui ogni frase è un’illuminazione. Il Pasolini filosofo, il Pasolini esteta, che collega ogni aspetto della propria filosofia al vivere quotidiano. Che trova la meraviglia e la bellezza andando a intervistare le donne del Sud Italia sulla sessualità. Il Pasolini della curiosità instancabile, della fame di vita. Questa bramosia di studio sull’essere umano mi ha sempre affascinato da morire. È stato un genio nell’integrare più piani. È, infatti, anche il Pasolini che viene dalla pittura, quello affascinato dall’estetica – come poi si vede nei suoi film. Ancora oggi, quando ho qualche dubbio esistenziale o di mestiere, vado a riascoltare sue interviste o rileggere sue pagine. È quel Pasolini che nelle interviste personali sa mettere insieme mondi diversi.
RAGAZZI DI VITA E MALAVITA
In tema di ispirazioni pasoliniane, vorrei interrogarti sul tuo ultimo film approdato in sala, Ghiaccio di Fabrizio Moro e Alessio De Leonardis. Il tuo personaggio, Massimo, onesto lavoratore e allenatore di boxe, cerca di portare al successo e alla retta via un giovane pugile (Giorgio Orsini) impelagato nella malavita. C’è un sentimento della periferia, un’ode alla borgata che si riassume nella tua battuta: “se vinci tu, vinciamo tutti”. C’è l’ombra di Pasolini in un ritratto d’ambiente di questo tipo?
Ghiaccio dà la possibilità di descrivere la periferia romana come creatrice di buoni sentimenti. Penso che di personaggi come Massimo ce ne siano veramente tanti, in molta periferia e provincia italiana, perché Pasolini ci ha insegnato che la borgata è la metafora di tantissime cose, di chi sta ai margini, di chi ambisce a qualcosa ma viene relegato da una coincidenza di nascita a limitare quell’aspirazione. Di persone come Massimo, che si svegliano la mattina e nonostante la difficoltà si sforzano di dare un’educazione e buoni principi, credo ce ne siano davvero tante, e sono felice di aver fatto questo film anche per questo motivo. Pasolini non è entrato direttamente nello studio del personaggio, ma quando affronti certi temi, Pasolini c’è sempre.
ISPIRAZIONE POETICA
Pasolini c’è anche, per citazione scherzosa, nel tuo personaggio del Poeta in Scialla di Francesco Bruni, un malavitoso che ne è appassionato, d’altro canto come di Truffaut. Una curiosità: come nacque quel personaggio che, evidentemente, includeva alcune passioni di Vinicio Marchioni?
All’epoca si trattò di un’intuizione di Francesco Bruni. Volle chiamarmi anche per “prendere in giro” il mio personaggio del Freddo di Romanzo Criminale, di cui era da poco uscita la serie. Avevo la possibilità di impersonare un altro criminale, ma con diversa matrice, con ironia. Ringrazio ancora Francesco per quel film. La famosa battuta “quanto ce manca Pasolini”, è nata sul set, non c’era in sceneggiatura: ne sono orgoglioso. Nell’incontro col personaggio del professore, magnificamente interpretato da Fabrizio Bentivoglio, è uscita lì per lì e ne sono fiero, perché pensiamo davvero tutti che ci manchi Pier Paolo Pasolini.
PASOLINI E LO SCANDALO
C’è una cosa di Pasolini, tra le altre, che forse oggi manca: la capacità di creare scandalo con intelligenza. Ricordo il titolo di un testo di Fernaldo Di Giammatteo che si chiama Lo scandalo Pasolini. Basterebbe, d’altro canto, un censimento delle iniziative sull’autore per osservare quante volte questa parola venga citata. A tuo avviso, oggi c’è carenza di progetti cinematografici che sappiano sfidare l’attore a essere parte di una rivoluzione, voce di uno scandalo? Manca quell’audacia nelle proposte filmiche?
Secondo me oggi manca proprio il concetto dello scandalo. Siamo abituati, ahinoi, a vedere qualsiasi cosa. Pasolini l’aveva predetto: lo scandalo onnipresente diventa pornografia. Quando lo scandalo non è null’altro che una divisa da sbandierare, perde la propria valenza rivoluzionaria e di rottura degli schemi. Siamo in un periodo in cui impera il politically correct, in cui tutti si offendono per qualsiasi cosa e non si può dire niente che non rientri nei buoni usi e nei buoni costumi senza recare offesa a una persona, a una categoria, all’intera morale. Viviamo in un tempo ipocrita ed è difficile che possa rinascere un altro Pasolini, ma ce ne sarebbe un’assoluta necessità.
OLTRE PASOLINI
Un paradosso: un altro Pasolini potrebbe nascere solo contraddicendo Pasolini. Le ceneri di Gramsci, che l’autore pubblicò nel 1957, si aprono con questi versi: “Lo scandalo del contraddirmi, dell’essere / con te e contro di te; con te nel cuore, / in luce, contro di te nelle buie viscere”. E in Uccellacci e uccellini, Pasolini fa in modo che il corvo dica ai due compagni di strada, Totò e Ninetto Davoli: “i maestri si mangiano in salsa piccante. Piccante, se possibile, per digerirli meglio”. Quale aspetto del maestro Pasolini ti sentiresti di contraddire per digerirlo in salsa piccante?
Bellissima domanda. Sai cosa? Bisognerebbe far sì di non trasformarlo in una figurina. Da una parte è molto difficile digerirlo, perché purtroppo passando gli anni ci si rende conto che ha sempre ragione lui. È arduo coglierlo in fallo. I maestri si possono definire tali quando creano degli allievi. Questi allievi sono dei buoni allievi che a loro volta diventano dei maestri. Ecco: io non vedo allievi (ride, n.d.R.). Da questo punto di vista, si può dire che Pasolini non sia stato un maestro, nel senso di non aver creato proseliti né di aver trasmesso una metodologia applicabile ad altre figure intellettuali. Se proprio vogliamo dire qualcosa contro Pasolini, può essere dunque questo, l’impossibilità di chiamare maestro qualcuno che non abbia creato maestri.
IL TEATRO DI PASOLINI
C’è forse un ambito creativo, tra quelli citati, in cui non è sempre univoco il riconoscimento di Pasolini come maestro. Si tratta di una forma espressiva che conosci bene: quella del teatro. Il suo è stato definito un teatro “di parola”, proteso alla poesia. Da attore e autore teatrale, che idea ti sei fatto sull’eredità di Pasolini nel teatro?
Io penso che il Pasolini teatrale sia un grandissimo drammaturgo. Ricordo di aver avvertito un’impressione veramente straordinaria quando ho avuto la possibilità di vedere la trilogia pasoliniana di Antonio Latella: Pilade, Porcile e Bestia da stile. Non solo per spettacolo e messa in scena, bensì per come mi sono arrivati i testi scritti da Pasolini. Il Pilade, per esempio, si chiude con quella frase reiterata, “il potere è la più grande delle colpe”. È una frase scolpita nella pietra, da grandissimo drammaturgo e poeta. Anche Porcile è incredibile. Rileggendolo, in qualsiasi epoca possa essere messo in scena, sarebbe facile trovare riferimenti a qualsiasi politico o uomo di potere, italiano o mondiale. Sono metafore politiche davvero potenti.
Hai la sensazione che questa statura nel teatro, a differenza di quella cinematografica, non sia parimenti riconosciuta?
Pasolini teatrale è stato gigante nello stesso modo personalissimo e silenzioso, in punta di piedi, in cui lo è stato nel cinema. Si è messo alla prova in diversi ambiti, da un lato con prepotenza, se non presunzione; dall’altro con umiltà rispetto ai mezzi espressivi che si accingeva a sperimentare. Questi atteggiamenti rientrano in tutti i grandi contrasti e le contraddizioni di Pasolini. Ma il Pasolini di teatro, ripeto, è un genio da riscoprire. Ci si riempie un po’ tutti la bocca agli aperitivi, ma poi quelli che hanno davvero letto qualcosa di suo sono pochi. Invito tutti, tutti, tutti a leggere i suoi testi, non solo quelli più conosciuti, ma anche quelli teatrali.
Ce n’è uno che vorresti segnalare, in particolare?
Il testo su Dioniso è uno di quelli che ha rinverdito la tragedia greca riportandola a una contemporaneità, ovviamente la sua. Ma è geniale anche l’operazione di Pilade: non era che l’amico silenzioso di Oreste, e riportarlo in vita da Eschilo è un’intuizione formidabile.
PASOLINI REGISTA
Se questi sono, potenzialmente, testi teatrali così importanti per te, non dubito che nell’evento PPP100. Pasolini e… poesia, cinema, televisione, stampa vengano fuori, invece, i film pasoliniani della tua vita. Quali sono?
Io sono rimasto sconvolto da Le 120 giornate di Sodoma. Ci sono delle immagini di quel film che a distanza di anni ancora mi ritornano alla mente con una potenza enorme. Quando parliamo di violenza, pornografia, sottomissione, abuso di potere, così come quando parliamo di tanta Italia di oggi – quella di cui ci vergogniamo di più, non quella di cui siamo orgogliosi – quel film è definitivo, incredibile.
Citeresti anche un caso di impatto di stile, oltre che di contenuto?
Penso spesso anche a Il vangelo secondo Matteo: per l’estetica, le inquadrature, la crudezza mista alla poesia, lo ritengo indimenticabile. E poi l’amore. In questo senso penso a La ricotta, con quell’Orson Welles seduto sulla sedia che parlando di Fellini dice egli danza… Per me è la sintesi di quell’amore di cui Pasolini era posseduto in una maniera dionisiaca, con pieghe imprevedibili e affascinanti. In quel cortometraggio (è uno dei 4 episodi del film Ro.Go.Pa.G. – Laviamoci il cervello, del 1963, n.d.R.) riconosco in lui e porto nel cuore quell’uomo tenero, solo, dolce, così meravigliosamente angelico nelle sue contraddizioni.
UN ANGELO CADUTO DAL CIELO
Tirando le somme di quest’intervista, mi vien da dire che per te l’inimitabilità di Pasolini sia croce e delizia, e che da essa, dunque, scaturisca la difficoltà di poter rinvenire nel panorama cinematografico di oggi, e oltre, continuatori di quell’impegno.
La sua è stata un’esperienza talmente personale che è impensabile trovare dei registi che possano tornare a fare quelle cose. Non c’è stato un altro Tarkovskij o un altro Kubrick. Abbiamo la fortuna che ogni tanto siano scesi degli angeli e abbiano fatto cinema. Siamo fortunatissimi a poter assistere a questi miracoli. Quando parlavo di assenza di allievi, ne parlavo dal punto di vista letterario e intellettuale, più che cinematografico. È impensabile avere “allievi cinematografici”. Troppa sensibilità, troppa cultura. E i tempi sono cambiati. Una volta si andava al Festival del Cinema di Venezia e se ne occupava il palazzo. Quella stagione cinematografica è unica e quella, sì, andrebbe digerita, per non parlarne sempre con un costante senso di inferiorità, come se non fosse possibile rinnovarla.
Quindi, nemmeno sarebbe giusto concludere che manchino voci e carismi di rilievo nel cinema italiano.
Oggi abbiamo dei grandissimi registi e narratori per immagini. Nonostante il nostro Paese non sia stato in grado di creare una filiera produttiva industrialmente riconosciuta, siamo in grado di generare grandissime personalità cinematografiche. Facciamo grande cinema e raccontiamo grandi storie, non dobbiamo fare l’errore di essere negativi e parlare sempre meglio degli altri e male di noi. Siamo bravissimi, e dobbiamo dirlo.
CINEMA OGGI
Sarei un pessimo intervistatore – ma forse lo sono a prescindere – se non ti chiedessi chi siano questi grandissimi registi. A chi guardi con attenzione nel cinema italiano di oggi?
Guardo ai più giovani sempre, perché sono curiosissimo e mi auguro che possano nascere nuovi Tarkovskij, Kubrick e Pasolini – con le proprie caratteristiche, naturalmente. Guardo con ammirazione e stima alla cinematografia costante e altissima di Marco Bellocchio e Mario Martone, ma anche di Paolo Sorrentino e Matteo Garrone. Continuo a guardare alle esperienze di Nanni Moretti come un personalissimo e grandissimo cineasta. Paolo Virzì riesce a coniugare ancora oggi la commedia con la miseria, con i difetti. È il regista più cechoviano che abbiamo oggi in Italia e lo amo follemente. Mi affascinano le grandi personalità.
Vedo che continui a creare un ponte tra teatro e cinema.
Per il cinema vale lo stesso di quando leggi i drammaturghi. Se li studi profondamente, ti rendi conto che hanno scritto della propria vita, delle proprie paure e ossessioni, dei propri amori. Parlo di autori come Cechov o Shakespeare – o Pasolini, naturalmente. Nel cinema vado a cercare la stessa cosa. Sono ammirato dalle grandi personalità, che sono anche quelle che si assumono il rischio dell’errore. E i grandi cineasti se le sono assunte prendendosi pause o facendo passi falsi, ma per noi è una fortuna anche poter assistere alle loro prove.
CARAVAGGIO E PASOLINI
Chiudo con un altro ponte, quello sull’arte. A novembre sarai nelle sale con L’ombra di Caravaggio di Michele Placido (01 Distribution), in cui interpreti il ruolo di Giovanni Baglione, pittore accademico all’epoca rinomato. In molti, come Vittorio Sgarbi e Federico Zeri, hanno riflettuto sulle convergenze tra Caravaggio e Pasolini. Hai avuto modo di fare le tue valutazioni durante le riprese del film, tanto più in un ruolo importante come quello di Baglione?
Sicuramente, la fortuna che ho avuto nell’interpretare questo ruolo è stata quella di guardare a Caravaggio con l’occhio di Giovanni Baglione, principe dell’accademia di quei tempi e dunque di un mondo classico. Fu tra i primi a rendersi conto di trovarsi di fronte a qualcosa di straordinario, a un pittore che dipingeva cose mai viste o immaginate da altri. Ritengo che tutti gli accostamenti tra Caravaggio e Pasolini siano plausibili. Questo equilibrio tra altissimo e bassissimo è una costante per entrambe. Ci hanno lasciato questo insegnamento, che per un diabolico equilibrio della vita non si possono toccare vette così alte senza sapersi anche sporcare le mani.
Entrambe, dunque, molto attuali.
Se c’è qualcosa di quest’epoca che stiamo vivendo, è che non siamo più obiettivi e non vogliamo riconoscere come l’essere umano possa essere brutale, osceno, misero. Non vogliamo vedere più queste cose e concentrarci solo sugli aspetti positivi. Anche la natura ce lo sta dicendo: guardate che non siete così, avete fatto danni enormi, siete una specie ignobile. Ed è il caso di guardare anche alle nostre miserie, prima che la natura s’incazzi e ci faccia fuori.
Grazie per le illuminazioni di questa intervista.
Grazie per la curiosità delle domande.